2019
11 dicembre | Olearo et al., Influsso della mutazione M184V/I sull’efficacia della terapia combinata Triumeq® nei pazienti pretrattati per l’HIV | |
Nei pazienti che hanno un fallimento virologico a causa di una scarsa aderenza terapeutica o come conseguenza di una terapia efficace solo in parte, possono apparire nel genoma dell’HIV dei segmenti con mutazioni. Queste mutazioni possono essere all’origine di resistenze agli usuali medicamenti contro l’HIV. La mutazione che più frequentemente causa una resistenza nell’ambito dello Studio svizzero della coorte HIV (SHCS) è la mutazione M184V/I che diminuisce l’efficacia delle sostanze antiretrovirali lamivudina (3TC®) e abacavir (Ziagen®). Queste due sostanze sono utilizzate molto frequentemente nel trattamento anti-HIV e spesso in combinazione con la sostanza dolutegravir (Tivicay®) nella forma di un’unica compressa denominata Triumeq. Gli autori di questo studio collaborativo hanno verificato se nei pazienti pretrattati con farmaci antiretrovirali e portatori della mutazione M184V/I, la carica virale fosse rimasta al di sotto della soglia misurabile dopo il cambiamento della terapia su Triumeq®. Questa domanda è particolarmente importante poiché il dolutegravir e la lamivudina sono farmaci spesso utilizzati in Africa per trattare l’HIV. Un gran numero di pazienti nel continente africano sono portatori della mutazione M184V/I. Nei prossimi paragrafi vi illustreremo se Triumeq® rimane efficace o meno in presenza della mutazione M184V/I. Questo studio si basa sui dati di cinque grandi studi di coorte in quattro paesi europei (Francia, Italia, Paesi Bassi e Svizzera). I pazienti erano tutti pretrattati e la loro carica virale era al di sotto della soglia misurabile prima del cambiamento su Triumeq®. Nello studio sono stati inclusi 1'626 pazienti. In 137 pazienti (8.4%) è stata documentata una mutazione M184V/I. 778 pazienti partecipano alla SHCS di cui 56 (7.2%) hanno la mutazione M184V/I. I ricercatori hanno analizzato la frequenza del fallimento virologico nei pazienti con e senza mutazione M184V/I. Si parla di un fallimento virologico quando la carica virale nel sangue supera in due occasioni 50 copie/ml. Il periodo medio di osservazione sotto la nuova terapia con Triumeq® era 288 giorni. All’inizio del loro trattamento iniziale anti-HIV i pazienti senza una mutazione M184V/I documentata avevano un tasso di linfociti CD4+ più basso ed erano stati trattati più a lungo con i farmaci precedenti rispetto ai pazienti senza la mutazione M184V/I. Globalmente i fallimenti virologici sono stati molto rari dopo un cambiamento su Triumeq®: solo 21 pazienti (1.29%) hanno presentato un fallimento virologico secondo la definizione menzionata sopra. Un fallimento virologico è stato documentato in 17/1'489 pazienti (1.2%) senza mutazione M184V/I e in 4/137 pazienti (3%) con mutazione M184V/I. Questa differenza non è statisticamente significativa. Nei pazienti con fallimento virologico i ricercatori non hanno potuto constatare nuove mutazioni associate a resistenza ai farmaci. Riassumendo, questo studio collaborativo internazionale ha mostrato un numero estremamente basso di fallimenti virologici nei pazienti pretrattati che hanno cambiato la terapia antiretrovirale su Triumeq®. Inoltre il rischio di un fallimento virologico nei pazienti con una mutazione M184V/I documentata non era più elevata, malgrado un’efficacia diminuita della lamivudina e dell’abacavir. Questi dati mostrano chiaramente quanto siano efficaci i nuovi inibitori dell’integrasi come dolutegravir o bictegravir. Anche nel caso di un fallimento virologico nuove mutazioni associate a resistenza sono molto rare grazie alla loro elevata barriera di resistenza. Sarà comunque necessario raccogliere più dati per un tempo di osservazione più lungo per poter confermare i risultati di questo studio. |
6 novembre | Kusejko et al., Disturbi neurocognitivi nei pazienti della SHCS | |
I disturbi neurocognitivi (disturbi della memoria, deficit dell’attenzione, difficoltà nel prendere decisioni) sono frequenti nelle persone con infezione da HIV. Con l’aiuto di test neuropsicologici, studi precedenti hanno mostrato che circa la metà delle persone sieropositive soffrono di disturbi neurocognitivi. L’attuale studio ha verificato quanti pazienti dello Studio svizzero della coorte HIV (SHCS) avessero tali disturbi e i fattori che ne hanno favorito l’apparizione. I risultati dello studio sono confortanti: nella SHCS i disturbi neurocognitivi sono diminuiti nel tempo. Ciò non di meno vi è sempre un gruppo di pazienti che manifesta dei deficit a tale livello. Nei paragrafi seguenti spiegheremo quali sono le persone colpite da questo problema. Nella SHCS testiamo l’apparizione di disturbi neurocognitivi ogni sei mesi. Domandiamo ai pazienti di rispondere a tre domande in ognuno dei seguenti ambiti: disturbi della memoria, deficit dell’attenzione e difficoltà nel prendere decisioni. In questo studio sono stati analizzati 79'683 questionari di 11'029 pazienti durante un periodo di 2.5 anni (5 questionari per paziente) dal 2013 al 2017. Come primo passo, utilizzando dei test statistici, i ricercatori hanno raggruppato le persone con deficit cognitivi simili e hanno fatto un paragone tra i vari gruppi. Nel periodo dal 2013 al 2017 la percentuale di pazienti che ha dichiarato disturbi neurocognitivi è nettamente diminuita da 19.6 a 10.7%. Paragonando il gruppo di pazienti con un numero maggiore di deficit neurocognitivi a quello con pochi deficit, si è osservato che questi pazienti avevano sofferto in passato di malattie opportunistiche del sistema nervoso centrale associate all’AIDS, di depressione o di una minor aderenza alla terapia antiretrovirale. Riassumendo, questo studio mostra in maniera impressionante che i disturbi neurocognitivi nei pazienti della SHCS sono diminuiti negli ultimi anni. Questo è probabilmente dovuto all’avvento di terapie estremamente efficaci contro l’HIV e anche all’inizio più precoce di tale trattamento. Lo studio ha inoltre mostrato che i pazienti che in passato hanno sofferto di malattie opportunistiche del sistema nervoso centrale sono colpiti più frequentemente da disturbi neurocognitivi, anche se tali malattie si sono manifestate molti anni prima e indipendentemente dal fatto che il paziente riceva un trattamento antiretrovirale efficace. Inoltre lo studio ha mostrato che occorrerebbe sottoporre i pazienti a test neurocognitivi più accurati qualora soffrano di depressione o in caso di una cattiva aderenza alla terapia antiretrovirale. |
16 ottobre | Bachmann et al., Serbatoi dell’HIV: nuove scoperte sugli ostacoli tenaci nel percorso verso la guarigione | |
I serbatoi di cellule infettate in modo latente dall’HIV rappresentano un ostacolo maggiore alla guarigione. Sono composti principalmente da cellule memoria T-CD4+ infette, ma in stato di riposo. Questi serbatoi si formano rapidamente dopo il contagio da HIV e sopravvivono per vari decenni malgrado la terapia antiretrovirale (ARV). Gli specialistici sono unanimi nell’affermare che per guarire da un’infezione HIV è indispensabile ridurre il numero di cellule infette in modo latente nei serbatoi o, nel migliore dei casi, eliminarle completamente. È noto che la dimensione dei serbatoi diminuisce dopo l’inizio di una terapia ARV. Piccoli studi hanno mostrato che la dimensione dei serbatoi sotto terapia ARV varia fortemente a dipendenza dell’individuo e sull’arco del tempo. A causa del numero limitato di partecipanti a tali studi, come pure della loro durata relativamente corta e numero ridotto di co-fattori analizzati, non è stato possibile mostrare un’immagine completa dei fattori che influenzano la dimensione e le modifiche dei serbatoi sotto trattamento sull’arco del tempo. Nadine Bachmann ed i suoi collaboratori/trici presso il Servizio di malattie infettive e di igiene ospedaliera dell’Ospedale Universitario di Zurigo (USZ) hanno analizzato in che modo la dimensione dei serbatoi si modifichi sull’arco del tempo. Sono pure stati studiati i fattori che influenzano tali modifiche, come pure la dimensione dei serbatoi. Il gruppo di ricercatori ha analizzato campioni di sangue e i dati corrispondenti di 1057 persone che da molti anni sono sottoposti a terapia ARV efficace. I dati derivano dallo Studio svizzero della coorte HIV (SHCS), iniziato nel 1988 e che dispone di una grande biobanca. 75% delle persone sieropositive in Svizzera, sottoposte ad una terapia ARV, partecipano al SHCS e mettono a disposizione i propri campioni di sangue per la ricerca. La banca dati SHCS è unica e rappresenta un importante fondamento per la ricerca sull’HIV. Nel caso delle 1057 persone partecipanti a questo studio, erano disponibili almeno tre campioni di sangue per misurare i serbatoi HIV. I prelievi erano stati eseguiti mediamente 1.5, 3.5 e 5.4 anni dopo l’inizio della terapia ARV. Per 412 persone i dati hanno permesso di seguire lo sviluppo dei serbatoi HIV per un periodo fino a dieci anni. I dati clinici, genetici, demografici, legati al comportamento e al tipo di terapia eseguita, hanno permesso per la prima volta di analizzare simultaneamente con modelli statistici multivariabili un numero elevato di fattori che potrebbero influenzare i serbatoi dell’HIV. Lo studio attuale include un numero di partecipanti dieci volte superiore al precedente studio con le stesse domande e grazie a ciò i risultati sono nettamente più significativi. In media i serbatoi sono diminuiti nei primi 5.4 anni dopo l’inizio della terapia ARV con una vita media stimata a 5.6 anni. Nel periodo di osservazione successivo, la diminuzione dei serbatoi si riduce chiaramente e sembra raggiungere un valore stabile. Contrariamente ai risultati attesi, in 281 persone (26.6%) sotto terapia ARV efficace, i serbatoi non sono diminuiti ma aumentati. È un risultato sorprendente e importante. Se la terapia ARV è stata iniziata durante il primo anno dopo l’infezione e la viremia era bassa, i serbatoi erano altrettanto bassi negli 1.5 anni dopo l’inizio del trattamento. I motivi esatti per l’aumento dei serbatoi latenti in un quarto dei pazienti non sono noti. Un’ipotesi possibile è che in questi pazienti le cellule infettate in modo latente si dividano. Un’altra possibilità è che in una parte dei pazienti l’HIV si moltiplichi a basso livello malgrado la terapia ARV. Si può escludere che una scarsa aderenza alla terapia sia all’origine di questo fenomeno, poiché sia l’aderenza terapeutica che eventuali interruzioni del trattamento sono ben monitorati nella SHCS. Nella maggior parte dei pazienti sotto terapia i serbatoi latenti diminuiscono, ciò che conferma i risultati dei precedenti studi in altri gruppi di pazienti. La novità in questo studio è la relazione tra i cosiddetti “blips” –virus misurabile nel sangue tra due misure negative- con la maggior dimensione dei serbatoi e minor diminuzione sull’arco del tempo. Fino ad ora i “blips” erano considerati poco rilevanti dal profilo clinico. Questo studio mostra che hanno però una rilevanza biologica. Inoltre le persone di etnia caucasica avevano dei serbatoi più piccoli. Riassumendo questo studio ha fornito nuove conoscenze che hanno permesso una miglior comprensione della dinamica dei serbatoi HIV. Ciò potrà probabilmente aiutare nello sviluppare delle strategie allo scopo di guarire dall’infezione HIV. Molte domande sulla formazione e mantenimento dei serbatoi HIV non hanno ancora una risposta. Per contro, le nuove scoperte sul ruolo dei “blips” , hanno mostrato che gli studi sperimentali sull’eliminazione del virus (proof of concept) dovranno essere condotti su pazienti selezionati per non trascurare effetti rilevanti nel contesto di una tale ricerca. |
9 agosto | Hachfeld et al., Perché la diagnosi di infezione HIV è posta tardivamente nelle persone originarie dall’Africa sub-sahariana? | |
Spesso le infezioni da HIV nei pazienti originari dell’Africa sub-sahariana sono diagnosticate in uno stadio avanzato. Un’infezione è diagnosticata tardivamente quando il numero di linfociti CD4+ è basso e/o vi è una malattia tipica dell’AIDS. Gli autori di questo studio hanno analizzato i motivi del ritardo diagnostico nello studio svizzero della coorte HIV (SHCS). In parallelo hanno studiato in quale percentuale di casi l’infezione HIV era diagnosticata tardivamente nei pazienti originari dall’Africa sub-sahariana e in quelli originari dall’Europa dell’Ovest. Durante un’intervista personale ai pazienti sono state chieste informazioni in merito all’accesso al test HIV nei rispettivi paesi. Sono state anche poste domande sulle ragioni possibili per spiegare il ritardo nell’esecuzione del test. La diagnosi di infezione HIV è stata posta tardivamente nel 64.6% (126/195) dei pazienti provenienti dall’Africa sub-sahariana e nel 45.8% (435/950) dei pazienti provenienti dall’Europa dell’Ovest. Nell’Europa dell’Ovest la diagnosi di HIV era stata posta più tardivamente nelle donne rispetto agli uomini. Nell’Africa sub-sahariana non c’era una differenza tra uomini e donne nella tempistica della diagnosi HIV. Nel 9.1% delle donne provenienti dall’Africa sub-sahariana la diagnosi è stata posta al momento della gravidanza (0% nelle pazienti dell’Europa dell’Ovest). Le diagnosi tardive erano poste più frequentemente da un medico generalista nell’Europa dell’Ovest (44.6%) rispetto all’Africa sub-sahariana (25%). Un basso livello di formazione non aveva un influsso sulla diagnosi tardiva di HIV. Nel confronto con l’Europa dell’Ovest, un numero maggiore di pazienti dall’Africa sub-sahariana ignorava l’esistenza di test HIV anonimi. La paura di una reazione negativa dei membri della famiglia in caso di test positivo è menzionata dal 39.3% dei pazienti dall’Africa sub-sahariana, mentre solo il 21.7% dei pazienti provenienti dall’Europa dell’Ovest menziona questa paura quale spiegazione di un test tardivo. Il 26.1% dei pazienti provenienti dall’Africa sub-sahariana segnalava pure la paura di un’espulsione dalla Svizzera. Riassumendo lo studio mostra che la maggior parte delle infezioni da HIV nei pazienti originari dall’Africa sub-sahariana sono diagnosticate tardivamente, in modo indipendente dal sesso e dal livello di formazione. Un accesso limitato al test HIV, una carenza di conoscenze in merito al test e la paura di un risultato positivo rappresentano le ragioni principali di una diagnostica tardiva nei pazienti originari dall’Africa sub-sahariana. |
16 maggio | Salazar-Vizcaya et al., Aumento delle nuove infezioni HCV acquisite in Svizzera negli MSM | |
Il Svizzera il numero di nuove infezioni da virus dell’epatite C (HCV) negli uomini HIV positivi che hanno rapporti sessuali con altri uomini (MSM) è sensibilmente diminuito grazie al facile accesso ai medicamenti anti-HCV altamente efficaci. Il numero di nuove infezioni potrebbe però nuovamente aumentare se molti MSM si infettassero all’estero con l’HCV e rientrassero in Svizzera con l’infezione. Gli autori di questo studio SHCS hanno analizzato quanti MSM hanno contratto l’HCV all’estero ed in Svizzera tra il 2000 e il 2016. Lo studio ha mostrato che le nuove infezioni da HCV contratte in Svizzera dagli MSM è chiaramente aumentato negli ultimi anni. Di seguito ne spieghiamo le conseguenze. In questo studio gli autori con l’aiuto della biologia molecolare hanno analizzato i ceppi virali di 99 pazienti nella SHCS con infezione HCV. Tutti i ceppi facevano parte del genotipo 1a, il genotipo più frequente negli MSM. Due terzi dei ceppi virali provenivano da pazienti MSM. Sulla base di questi 99 ceppi virali gli autori hanno ricostruito una genealogia genetica e l’hanno comparata con 374 ceppi di riferimento in Svizzera e all’estero. Ciò ha permesso di determinare chi tra i 99 pazienti della SHCS ha contratto l’infezione in Svizzera e chi all’estero. Sulla base delle analisi citate, i ricercatori hanno concluso che tra 50% e 80% delle infezioni HCV sono dovute a ceppi virali svizzeri e di conseguenza le persone hanno probabilmente contratto il virus in Svizzera. Negli anni 2000-2007 la percentuale di ceppi HCV svizzeri era del 54% e ciò significa che un po’ più della metà degli MSM ha probabilmente contratto l’infezione in Svizzera. D’altra parte il numero di infezioni HCV contratte in Svizzera è aumentato nel periodo 2008-2017 situandosi a 85%. Gli autori non hanno trovato alcun indizio a favore del fatto che le infezioni HCV negli MSM provenissero da persone facenti parti del gruppo a rischio a cui appartengono i consumatori di droga per via endovenosa. Riassumendo, lo studio ha mostrato che esiste negli MSM HIV positivi una rete internazionale di trasmissione dell’epatite C. La scoperta precoce di reti di trasmissione grazie a studi come quello attuale può contribuire ad interrompere la catena di trasmissioni e a circoscrivere la disseminazione dell’epatite C all’interno di tali reti. Appare probabile che durante il periodo di osservazione dello studio la maggior parte degli MSM abbia contratto l’infezione HCV in Svizzera e non all’estero. Le infezioni HCV importate dall’estero giocano comunque un ruolo importante. Infatti le infezioni importate potrebbero compromettere gli sforzi per eradicare l’epatite C dagli MSM HIV positivi in Svizzera. |
10 aprile | Abela et al., Apparizione di resistenze acquisite ai medicamenti anti-HIV nello studio svizzero della coorte HIV | |
Il numero di resistenze acquisite ai medicamenti anti-HIV è in forte diminuzione grazie ai medicamenti antiretrovirali altamente efficaci. Questo studio ha identificato i fattori che aumentano il rischio di acquisire una resistenza ai trattamenti: disoccupazione, origine africana, sintomi di una malattia psichiatrica e co-medicazione per trattare altre malattie infettive. Nei prossimi paragrafi descriviamo le conseguenze dei risultati dello studio. Nel mondo occidentale il numero di resistenze acquisite ai medicamenti anti-HIV è fortemente diminuito grazie a farmaci sempre più efficaci e alla possibilità di controllare l’efficacia della terapia misurando la carica virale. Malgrado ciò, ci sono pazienti sotto trattamento anti-HIV con un rischio più elevato di sviluppare una resistenza. Lo scopo di questo studio è di ricercare i fattori di rischio delle resistenze ai farmaci antiretrovirali. Ciò permetterà di sviluppare strategie per combattere l’apparizione di resistenze dell’HIV in gruppi di pazienti specifici. Tra i partecipanti dello studio svizzero della coorte HIV (SHCS) sono stati identificati 115 pazienti che, sotto trattamento combinato per l’HIV con tre sostanze attive, hanno sviluppato una resistenza ai farmaci. Questi 115 casi sono stati comparati a 115 casi senza resistenze acquisite (gruppo di controllo) e con caratteristiche cliniche simili (ad esempio tasso di linfociti CD4+ aiutanti, carica virale all’inizio del trattamento, luogo del trattamento). Inoltre i ricercatori hanno studiato i dossier di 230 pazienti per determinare altri possibili fattori di rischio che non sono considerati sistematicamente durante le visite semestrali della SHCS. I ricercatori hanno identificato i seguenti fattori all’origine di un rischio più elevato di acquisire una resistenza ai farmaci anti-HIV: origine, rispettivamente etnia africana, statuto di rifugiato, sintomi di malattie psichiatriche, sesso femminile, disoccupazione, livello di formazione modesto e trattamento medicamentoso di altre malattie infettive (ad esempio tubercolosi). Riassumendo questo studio mostra che è sempre possibile sviluppare una resistenza ai farmaci anti-HIV e che certi gruppi di pazienti sono più vulnerabili a tale riguardo. I fattori di rischio determinati in questo studio possono aiutare i medici curanti a riconoscere per tempo i pazienti a rischio prendendoli in carico in maniera pluridisciplinare (ad esempio con l’aiuto di un assistente sociale o di uno psichiatra). |
20 marzo | Shepherd et al., Interruzione del fumo e rischio di cancro nelle persone con infezione da HIV | |
Il tabagismo nuoce alla salute e aumenta in modo sensibile il rischio di cancro dei polmoni. Ci sono pochi dati clinici sugli effetti del tabagismo in relazione al rischio di cancro nelle persone sieropositive. Studi precedenti nelle persone sieronegative hanno mostrato che il rischio di cancro dei polmoni diminuisce fortemente dopo circa 5 anni senza fumo. Finora non era chiaro se questo lasso di tempo possa ugualmente diminuire il rischio di cancro nelle persone sieropositive. Il presente studio dimostra che questa regola non è valida per le persone sieropositive. Nella popolazione generale il tabagismo triplica il tasso di mortalità ed il rischio di cancro dei polmoni aumenta sensibilmente. Gli studi hanno anche dimostrato che il rischio di cancro diminuisce già qualche anno dopo l’interruzione del fumo. Gli autori del presente studio hanno analizzato se questi fattori sono validi anche per le persone sieropositive. 35'442 persone con HIV delle differenti coorti di Europa (compresi i pazienti dello studio svizzero della coorte HIV), Stati Uniti ed Australia sono stati inclusi in questo studio. In totale questi pazienti sono stati osservati per un periodo superiore a 300'000 anni/paziente, a partire dal 2004 fino alla manifestazione di un cancro o, al più tardi, fino a febbraio 2016. Sono stati studiati differenti tumori maligni: cancro dei polmoni, cancri particolarmente frequenti nei fumatori (ad esempio cancro del pancreas, cancro del colon) e cancri che tipicamente non hanno una relazione con il tabagismo. I pazienti sono stati divisi in gruppi di “fumatori”, “ex-fumatori” e “non-fumatori”. Non c’erano informazioni disponibili né sulla quantità del consumo, né sulla quantità di tabacco delle sigarette elettroniche. Riassumiamo i risultati principali:
Riassumendo, questo studio mostra che il rischio di cancro dei polmoni nelle persone sieropositive resta elevato durante vari anni dopo l’interruzione del fumo. Contrariamente alla popolazione generale, nelle persone sieropositive l’interruzione del fumo non conduce ad una rapida diminuzione del rischio di cancro dei polmoni. Per questo motivo, è importante stimolare le persone sieropositive ad interrompere il fumo, partecipando a programmi che sostengono l’astinenza dal tabacco. Parallelamente, occorre essere coscienti che il rischio di sviluppo di un cancro dei polmoni persiste anche dopo l’interruzione del fumo. |
21 febbraio | Leon-Reyes et al., Stima dei costi di trattamento per le persone con infezione HIV in Svizzera | |
Dati affidabili in relazione ai costi e all’utilizzazione delle risorse sanitarie sono indispensabili per valutare i bisogni attuali e futuri delle persone sieropositive in Svizzera. Gli studi sui costi indotti dalla presa in carico delle persone sieropositive seguite ambulatorialmente, non erano rappresentative e avevano un’utilità limitata per le decisioni di salute pubblica. In questo studio pilota i ricercatori hanno collegato in modo anonimo i dati medici dello Studio svizzero della coorte HIV (SHCS) con i dati della più grande cassa malati svizzera (Helsana), allo scopo di stimare i costi per la presa in carico dell’infezione HIV. Nei prossimi paragrafi troverete le informazioni sui costi generati e sui fattori che influenzano i costi. In questo studio i dati di tutti i trattamenti per le persone con HIV assicurati presso la cassa malati Helsana (n = 2355) sono stati collegati in modo anonimo con i dati dei pazienti sotto trattamento anti-HIV della SHCS (n = 9326) per gli anni 2012 e 2013. Il criterio principale di valutazione dello studio era rappresentato dai costi globali della salute per ogni persona sieropositiva in Svizzera negli anni 2012 e 2013. Per l’analisi i pazienti sono stati suddivisi in tre gruppi in base al consumo di risorse, definendo un rischio debole, medio ed elevato. I costi medi per i trattamenti delle persone sieropositive in Svizzera sono cresciuti da 32'289 fr nel 2012 a 33'132 fr nel 2013. Il 70% dei costi erano generati dall’acquisto dei farmaci antiretrovirali. Per i pazienti a rischio basso i costi si situavano a 28'378 fr nel 2012 e 27'699 fr nel 2013. I costi di salute per i pazienti a rischio medio erano di 3'737 fr nel 2012 (+ 13%) e 4'629 fr nel 2013 (+ 17%), mentre per i pazienti a rischio elevato i costi erano di 14'867 fr nel 2012 (+52%) e 14'516 fr nel 2013 (+ 52%), chiaramente superiori rispetto ai pazienti a rischio debole. Riassumendo questo studio mostra che in Svizzera la maggior parte dei costi per la presa in carico dell’HIV concernono l’acquisto dei farmaci antiretrovirali. Un’analisi dettagliata dei dati dei pazienti ha mostrato che i seguenti fattori aumentavano i costi di trattamento: età avanzata, diagnosi di AIDS (infezione HIV in stadio avanzato), comorbidità psichiatriche, consumo di droghe e di alcool, presa irregolare dei trattamenti. Un confronto dei dati della SHCS con quelli delle casse malati su un campione ancora più grande potrebbe fornire dei dati per creare dei modelli che potrebbero influenzare la politica sanitaria a differenti livelli. |
24 gennaio | Salazar-Vizcaya et al., Influenza delle terapie antivirali ad azione diretta per il virus dell’epatite C sul numero di infezioni nelle persone a rischio | |
L’organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha fissato come obiettivo di ridurre del 90% le nuove infezioni da virus dell’epatite C (HCV) entro il 2030. Per poter raggiungere tale obiettivo, è di primaria importanza conoscere lo sviluppo delle infezioni da HCV nelle persone con un rischio più elevato di epatite C. In questa ricerca dello Studio svizzero della corte HIV (SHCS) gli autori hanno analizzato l’influenza dei nuovi farmaci ad azione diretta (direct acting agents, DAAs) sull’epidemia da HCV negli uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini (men who have sex with men, MSM) e nelle persone che consumano droghe per via endovenosa (intravenous drug users, IVDU). Gli autori hanno dimostrato che negli ultimi anni il trattamento delle infezioni HCV con DAAs fortunatamente è aumentato in modo considerevole. In seguito potrete apprendere sul perché, malgrado l’aumento dei trattamenti con DAAs, nel gruppo degli MSM il beneficio non sarà sufficiente per circoscrivere l’epidemia da HCV. Tra il 2005 e il 2016 5'267 MSM e 1'805 IVDU sono stati seguiti per un periodo corrispondente a 38'693, rispettivamente 14'748 persone-anno. Lo studio ha dato i seguenti risultati: - il numero di trattamenti con DAAs è aumentato rapidamente dal 2012 e ha raggiunto un valore massimo di 28 trattamenti per persone-anno negli MSM e di 18 trattamenti per 100 persone-anno negli IVDU. - Il numero di nuove infezioni da HCV negli MSM è aumentato considerevolmente e si è quintuplicato nel periodo di osservazione dello studio. - Negli IVDU è stata constatata un’unica nuova infezione nel periodo di osservazione dello studio. - Il numero di reinfezioni, ossia nuove infezioni sopraggiunte dopo una cura con DAAs o una guarigione spontanea, è invece aumentato considerevolmente negli MSM e si è decuplicato nel periodo di osservazione. - Il numero di reinfezioni negli IVDU è diminuito di 2/3. - Il numero di pazienti con un’infezione attiva da HCV è diminuito costantemente negli IVDU. Nel medesimo periodo di osservazione è raddoppiato negli MSM. Riassumendo, questo studio dimostra che l’aumento dei trattamenti con DAAs e la loro efficacia ha ridotto considerevolmente negli ultimi anni le infezioni attive da HCV negli IVDU partecipanti al SHCS. Per contro, negli MSM, l’aumento dei trattamenti con DAAs è stato compensato da un gran numero di nuove infezioni e reinfezioni. Oltre all’accesso facile alle terapie con DAAs e inizio immediato di un trattamento, saranno necessarie misure supplementari per contenere l’epidemia HCV, ad esempio quelle mirate alla riduzione dei comportamenti a rischio, come ad esempio l’utilizzo rigoroso del preservativo in caso di rapporti sessuali anali con partner occasionali. |